Continuiamo il nostro percorso nell’economia circolare del settore del tessile per vedere come è possibile produrre nuovi capi d’abbigliamento partendo da materiale rigenerato.
Abbiamo intervistato Niccolò Cipriani, fondatore di Rifò– un’azienda di Prato che ha messo a punto una linea di abbigliamento con materie rigenerate.
Da dove nasce l’idea di Rifò?
L’idea nasce da una mia precedente esperienza di cooperazione in Vietnam, dove ho potuto vedere da vicino gli effetti della sovrapproduzione dell’industria dell’abbigliamento. La logica era di produrre molto di più rispetto ai reali bisogni delle persone, e il surplus veniva distrutto.
Tornato in Italia, nella mia città natale di Prato, ho voluto riprendere la tradizione locale della rigenerazione delle fibre di lana, nell’ottica di promuovere un consumo più sostenibile e responsabile dei capi di abbigliamento.
Tra il 2017 e il 2019 Rifò cresce a poco a poco, e oggi ci lavorano 25 persone. Coordiniamo una filiera locale che riesce a recuperare lo scarto tessile e i vecchi indumenti, trasformandoli in nuovo filato e successivamente in nuovi capi di abbigliamento: maglieria, giacche, gonne, pantaloni, cappelli, sciarpe, … un’intera produzione senza sprechi!
Quali sono i materiali che oggi recuperate?
Attualmente recuperiamo la lana, per produrre a bassissimo impatto maglieria, giacche e capi-spalla; cashmere, che mantiene inalterata la sua morbidezza originale, e che è stato il primo materiale che abbiamo utilizzato, dal momento che la sua rigenerazione è una tradizione molto antica nel distretto tessile di Prato.
Recuperiamo poi jeans e cotone dal quale, oltre a creare t-shirt 100% rigenerate, dopo la lavorazione, otteniamo accessori per la casa, come per la collezione legata alla tavola o per i teli mare.
Infine produciamo anche seta rigenerata, utilizzando però in questo caso unicamente gli scarti industriali e i cascami, ma non i capi usati.
Come è stata accolta dal mercato la vostra realtà?
Direi molto bene: c’è un interesse crescente verso il nostro prodotto, in Italia, ma anche in Austria, Germania e Svizzera. Attualmente vendiamo su internet, abbiamo circa 300 rivenditori multi-brand sul territorio nazionale e abbiamo anche un negozio a Prato.
I nostri capi sono prodotti nel raggio di circa 30 km dal nostro ufficio. Dalla rigenerazione di lana, cashmere e jeans fino alla creazione del capo finito riusciamo a garantire un prodotto a chilometro zero.
Constatiamo un interesse crescente del settore verso le tematiche di sostenibilità. Se esiste davvero la volontà di sposare processi sostenibili c’è sicuramente spazio anche per altre realtà del settore, ma bisogna comunque abbandonare la logica del prezzo più basso.
Qual è il futuro di Rifò?
Gli sviluppi futuri sono di allargare ad altri materiali la produzione di capi da fibre rigenerate. Attualmente usiamo lana, cashmere, cotone, jeans e seta, ma ci piacerebbe anche arrivare a recuperare lino e canapa, o anche materiali misti.
Purtroppo oggi mancano i processi tecnologici per recuperare queste altre fibre. In futuro si cercherà di mettere a punto nuove tecniche di rigenerazione.
Il nostro è un brand ma vuole anche essere un progetto di economia circolare, perché vuole offrire sempre di più alle persone servizi concreti e trasparenti per smaltire i propri vecchi indumenti e far sì che tornino a essere una nuova risorsa tessile.