Da dove nasce l’idea di Rifò?
L’idea nasce da una mia precedente esperienza di cooperazione in Vietnam, dove ho potuto constatare da vicino gli effetti della sovrapproduzione dell’industria dell’abbigliamento. La logica era di produrre molto di più rispetto ai reali bisogni delle persone, e quidni distruggere il surplus.
Tornato a Prato, la mia città natale, ho voluto riprendere la tradizione locale della rigenerazione delle fibre di lana, nell’ottica di promuovere un consumo più sostenibile e responsabile dei capi di abbigliamento.
Tra il 2017 e il 2019 Rifò cresce in maniera costante. Oggi vi lavorano 25 persone. Coordiniamo una filiera locale che riesce a recuperare lo scarto tessile e i vecchi indumenti, trasformandoli in nuovo filato e successivamente in capi di maglieria, giacche, gonne, pantaloni, cappelli, sciarpe. Di fatto un’intera produzione senza sprechi!
Quali sono i materiali che oggi recuperate?
In primis la lana, per produrre a bassissimo impatto maglieria, giacche e capi-spalla; e quindi il cashmere, che mantiene inalterata la sua morbidezza originale e che è stato il primo materiale utilizzato, dal momento che la sua rigenerazione è figlia di una tradizione molto antica nel distretto tessile di Prato.
Recuperiamo poi jeans e cotone dai quali, oltre a creare t-shirt 100% rigenerate, dopo la lavorazione, otteniamo accessori per la casa, per la collezione legata alla tavola o per i teli mare.
Infine produciamo anche seta rigenerata, utilizzando però in questo caso unicamente gli scarti industriali e i cascami, ma non i capi usati.
Come è stata accolta dal mercato la vostra realtà?
Direi molto bene: c’è un interesse crescente verso il nostro prodotto, in Italia, ma anche in Austria, Germania e Svizzera. Attualmente vendiamo su internet, grazie a circa 300 rivenditori multi-brand sul territorio nazionale oltre ad avere un negozio a Prato.
I capi sono prodotti nel raggio di circa 30 km dal nostro ufficio. In pratica dalla rigenerazione di lana, cashmere e jeans fino alla creazione del capo finito riusciamo a garantire un prodotto a chilometro zero.
E' indubbio che se esiste davvero la volontà di sposare processi sostenibili, c’è sicuramente spazio anche per altre realtà del settore, ma bisogna comunque abbandonare la logica del prezzo più basso.
Qual è il futuro di Rifò?
Vogliamo allargare ad altri materiali la produzione di capi da fibre rigenerate. Ci piacerebbe anche arrivare a recuperare lino e canapa, o anche materiali misti.
Purtroppo oggi mancano i processi tecnologici per recuperare queste altre fibre. In futuro si cercherà di mettere a punto nuove tecniche di rigenerazione.
Il nostro è un brand che vuole offrire alle persone servizi concreti e trasparenti per smaltire i propri vecchi indumenti e fare in modo che tornino ad essere una nuova risorsa tessile.