Il principio dell’EPR assegna ai produttori un ruolo attivo nella gestione del fine vita dei loro beni, rendendoli parte integrante della transizione ecologica.
L’Europa si è posta l’obiettivo, per i prossimi anni, di garantire che la materia prima dei prodotti non venga sprecata a fine vita. Questo obiettivo solleva un interrogativo fondamentale: chi deve esserne responsabile?
Secondo i regolamenti europei, la responsabilità ricade sui produttori, intesi come coloro che immettono i beni sul mercato, estendendosi così a tutti i rifiuti derivanti dai loro prodotti. Tale approccio ha portato alla definizione del regime EPR (Extended Producer Responsibility).
Evoluzione normativa e ampliamento dei settori
Il regime EPR è stato rafforzato con l'emanazione delle direttive europee sull’economia circolare (Direttiva 2018/851/UE e correlate), recepite in Italia nel 2020 con il D.Lgs. 116/2020. Alcuni settori, tra i quali il tessile, sono ancora in attesa dei decreti attuativi.
Già da tempo, invece, esistono organizzazioni attive per alcuni prodotti e materiali specifici – come imballaggi, apparecchiature elettriche ed elettroniche, pneumatici etc. – ma oggi il sistema si estende anche ad altri settori. In particolare, il comparto della moda e dell’abbigliamento, che genera un’enorme quantità di rifiuti, è diventato un nuovo campo di applicazione della responsabilità estesa dei produttori.
Le sfide della gestione dei rifiuti e le risposte normative
Si stima che, entro il 2050, a livello globale si raggiungeranno i 3,4 miliardi di tonnellate di rifiuti; tuttavia, mentre l’80% degli articoli smaltiti in discarica risulta riciclabile, solo il 20% viene effettivamente recuperato. Questo divario è legato a vari fattori, tra cui la mancanza di infrastrutture di riciclo efficienti, la contaminazione dei materiali riciclabili e le difficoltà logistiche nel recupero delle risorse etc.
Inoltre, il crescente volume di rifiuti industriali e pericolosi ha spinto gli Stati ad adottare misure stringenti: l’Unione Europea tassa fino a 800 euro per ogni chilo di rifiuti di imballaggio non riciclato, mentre il Regno Unito penalizza le aziende che utilizzano meno del 30% di plastica riciclata.
Approccio aziendale e sistema collettivo
Per far fronte alle crescenti esigenze normative e ambientali, le aziende stanno ristrutturandole le proprie supply chain in ottica sostenibile.
L’obiettivo è ridurre l’uso di fonti fossili, sia per la produzione energetica che per la realizzazione degli imballaggi, promuovendo al contempo un approvvigionamento etico.
Un rifiuto è facile da gestire quando il costo di raccolta, recupero e riciclo è inferiore al valore di mercato dei materiali recuperati; viceversa, si richiede un correttivo economico.
Spesso, un singolo produttore non dispone delle capacità organizzative necessarie per rintracciare e gestire autonomamente i rifiuti da lui generati. In questi casi, nasce il sistema collettivo: le imprese si associano in consorzi ai quali delegano le proprie responsabilità, contribuendo in proporzione alla qualità e quantità dei rifiuti immessi – il cosiddetto “contributo ambientale” -.
Il consorzio si occupa quindi di valorizzare al meglio i materiali recuperati, tenendo conto della fattibilità tecnica ed economica, della realtà industriale e dei prezzi di mercato e degli obiettivi graduali, adattando il sistema alle condizioni di partenza della filiera.
Innovazione tecnologica e sostenibilità
La tecnologia gioca un ruolo sempre più determinante nell’implementazione del regime EPR. Innovazioni basate su intelligenza artificiale e soluzioni cloud stanno permettendo di monitorare in tempo reale la conformità normativa, ottimizzare la supply chain e integrare il feedback nei processi di progettazione e produzione. Queste innovazioni supportano le aziende nella transizione verso modelli di business più sostenibili, contribuendo a una gestione più efficiente e responsabile dei rifiuti.
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